A un tratto, proprio mentre sono immersa in una piacevole chiacchierata con un’altra paziente, si apre una porta, chiamano il mio nome, entro spedita. Stretta di mano, convenevoli e poi la mammografia. Da qualche tempo il dottore, dotato di grande sensibilità, si avvale della presenza di una donna, un tecnico radiologo che, oltre a essere dolce e preparata, fa sì che questa visita fastidiosa non si riduca a un imbarazzante striptease parziale. La cosa dura poco e dopo mi stendo sul lettino per la visita. Sono calma. Del resto, perché mai dovrei agitarmi? Tra poco il dottore mi palperà, verificherà che è tutto a posto, continuo a ripetermi, mi dirà di rivestirmi e io lo farò sorridente come tutte le altre volte. Poi lo saluterò cordialmente e riprenderò a fare le cose che erano nell’elenco della giornata.
Ma mentre procede con la visita sento che torna più volte nella stessa zona, come se volesse certezze, come se l’itinerario dovesse essere confermato. Il suo solito sorriso aperto e rassicurante sparisce per cedere il posto a un’espressione accigliata.
Chi va dai medici in generale sa quanto sia importante la mimica, e quanto il paziente, soprattutto quando si trova seminudo – o semivestito, come preferite – sul lettino, coglie anche il benché minimo segno di espressività sul volto che ha di fronte.
Anche la mia calma mi stava abbandonando. Al suo posto si era piazzata bella salda una sensazione di disagio. Mi domandavo “Ma cos’ha il dottore? E cosa ho io?”. Ma quello non era il momento di fare domande, bensì, eventualmente, di ascoltare.