Finalmente il dottore mi dice “Si rivesta” e io eseguo l’operazione meccanicamente, già come se fossi spettatrice dei miei gesti. Poi mi dice, come a preludere a una chiacchierata più lunga e impegnativa del solito “Si accomodi”. E quell’invito non mi sembrava affatto foriero di belle notizie.
Mi siedo e mi preparo all’ascolto, anche se la concentrazione non è ai massimi livelli. Quando ti inizia a prendere la paura la mente si annebbia e sembra muoversi al rallentatore, come in differita durante i collegamenti satellitari. Mi sforzo e presto attenzione alle sue parole.
“Signora”, esordisce “qui vedo una piccola macchia nera”. E io, non lasciandogli nemmeno completare la frase “Di che si tratta? Niente di cattivo, vero? Devo operarmi?”. Non riuscivo a fermarmi, ero un fiume in piena. Le domande mi uscivano dalla bocca prima ancora che le potessi pensare.
E lui continua “Signora, stia tranquilla”. Ma io sono ormai partita per viaggi lontani e continuano a ronzarmi nel cervello domande a raffica “Perché mi dice che devo stare tranquilla? Se me lo dice allora c’è da preoccuparsi! E di cosa?”. E lui, come se potesse leggermi nel pensiero, interrompe le mie elucubrazioni e mi dice “Signora, c’è bisogno di un piccolo intervento chirurgico”.
Il “piccolo” non è servito a ridurre la mia angoscia, che ormai aveva sfrattato la semplice paura che avevo prima. Il black-out era totale. Riuscivo solo a ripetere, senza sosta, “interventochirurgicointerventochirurgicointerventochirurgico”.
Saluto il dottore e mi avvio verso l’uscita. Stavolta niente sorrisi nella stretta di mano, solo un mesto “arrivederci, mi faccia sapere”.