La mia prima mattinata in ospedale inizia presto. Mi dovrò abituare a un rituale di orari, volti e suoni che si susseguono nella giornata. A un tratto entra una bella signora bionda, curatissima e truccata: è l’addetta alle pulizie. Il camice da lavoro che porta addosso a lei sembra un abito regale. Mi incuriosisce questa donna dall’aspetto importante e così, vinta la ritrosia iniziale, inizio a farle delle domande.
L’errata abitudine a giudicare dalle apparenze può condurre verso sentieri lontani e pericolosi.
Dopo un breve scambio di battute apprendo che la donna è rimasta vedova giovanissima e con un bambino da crescere. Dopo le mille lacrime iniziali si è rimboccata le maniche e ha accettato un lavoro che molti al suo posto avrebbero rifiutato, ma che lei, a dispetto della sua laurea in tasca, ha accettato: non c’era tempo per avere la puzza sotto al naso. Lo ha fatto con orgoglio e determinazione, però, mi ha precisato, ha deciso che era importante farlo ricordandosi sempre di essere una donna che si vuol bene e che non vuole trasmettere l’idea di tristezza e desolazione. Mi ha spiegato che non dobbiamo mai perdere il sorriso e la speranza, qualunque cosa ci accada nella vita. Mi ha spiegato, ancora, che nessuno ama trovarsi di fronte chi ha smesso di lottare.
E mentre lo dice un brivido di emozione mi percorre e penso che questa per me è la prima grande lezione che ricevo in ospedale.
