Ci sono giorni che non riesci proprio a dimenticare, se pure vivessi cent’anni. Ricordo tutto di quella mattina torrida. Faceva così caldo che continuavo a sventolarmi con un ventaglietto che mi portavo sempre dietro.
Ero a pochi passi da Piazza san Pietro, bella, monumentale. Ogni volta resto rapita dalla geometria del colonnato, bello da togliere il respiro. In quella piazza mi sono sempre sentita protetta, al riparo da ogni cattiveria del mondo. Ed è con questo spirito sereno che ho fatto la telefonata.
Ricordo ogni secondo, dilatato all’infinito, ogni sequenza, ogni parola della breve conversazione che ebbi con il medico. Tutto il resto intorno a me invece diventò solo una cartolina sbiadita.
Era ciò che non avrei mai e poi mai voluto ascoltare: mio marito aveva il cancro.
Sapevo che da quel giorno la sua vita, e anche la mia, sarebbero cambiate e avrei dedicato ogni istante per far sì che diventasse indimenticabile.
La disperazione fu la mia prima reazione, istintiva e irreprimibile. Ero sola: potevo permettermela. Ma quando mi trovai di fronte a mio marito la scacciai subito in un angolo remoto del mio cuore, lasciando che entrasse la speranza, la voglia di vivere, la condivisione.