Come previsto oggi ho fatto il mio ingresso in quella che sarà la mia dimora per qualche giorno: l’ospedale. L’intervento era programmato da tempo e non ci sono state sorprese. Arrivo con la mia borsa, nella quale ho messo tutto quello che penso mi potrà servire, e anche qualcosa di inutile, per avere la sensazione di andare in vacanza, dove ogni frivolezza è ammessa.
Mi assegnano una stanza a tre letti, di cui due sono già occupati da donne che conoscerò a breve. Con la timidezza tipica di chi è l’ultimo arrivato, saluto chi già è ormai di casa. Matilde e Sara sono le mie due compagne di stanza. Io porto con me il carico di dolore, paura e dubbi, credendo di essere l’ultima tra gli ultimi ma subito il sorriso delle amiche mi invita ad abbandonare il broncio. Tra le due, Sara, in particolare, ha un’aria così serena e rassicurante da farmi credere di trovarsi lì per sbaglio.
Passa poco e iniziamo a scambiarci esperienze e stato di salute e apprendo che lei, proprio la più giovane delle tre, non solo è quella tra noi che porta il fardello più pesante, ma ha anche tre bimbi piccoli a casa che l’aspettano.
Ho perso subito quella che credevo fosse la prima posizione, quella che mi avrebbe portato al centro dell’attenzione, ad avere il massimo del compatimento. Quanto mi sbagliavo! Sara mi stava già dando una grande lezione, lei che si interessava a me e cercava di risollevarmi, mettendosi in secondo piano.
Dovevo riprendere il controllo di me, la mia dignità, anche nella sofferenza e dare la precedenza a chi la meritava.