Quando ero bambino una delle domande più frequenti che mi veniva fatta era “Cosa vuoi fare da grande?”. E naturalmente la stessa toccava anche ai miei fratelli e amici, che se la sentivano ripetere. Ognuno rispondeva fantasticando su un mondo futuro. Io avevo le idee chiare, già allora, e saldamente convinto che la mia risposta fosse vera, reale, concreta, rispondevo “Voglio fare il medico”.
E questa idea è stata la mia compagna fedele durante tutto il mio corso di studi. Non ho avuto mai un cedimento, un attimo di titubanza e finita la maturità, iscrivermi alla facoltà che sognavo è stato un processo automatico.
E nei primi anni di studi medici l’idea di ciò a cui volevo dedicarmi diventava sempre più nitida e definita. Volevo fare il chirurgo e, dopo, specializzarmi in oncologia. Pensavo a queste specializzazioni come a due compagne di banco, inseparabili amiche avrebbero tratto beneficio l’una dall’altra, aiutandosi e sostenendosi nel momento del bisogno.
Quando mi chiedono, e continuano a farlo anche adesso che sono alla soglia dei sessant’anni, se studiare tanti anni medicina sia stato pesante, rispondo di no.
Quando hai una passione che ti arde dentro, quando fai qualcosa spinto da un desiderio profondo, la fatica, il tempo e la stanchezza diventano solo sfocate comparse in sottofondo.
Però, mi piace ripeterlo, l’anatomia, quel magnifico parco delle meraviglie che ci appartiene, non è stata la cosa più difficile da imparare. Al contrario, e lo avrei imparato nel corso dei lunghi anni della mia professione, è stato comprendere l’animo umano.