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Io e gli “altri”

Pubblicato da in Parliamone ·
Sono passati tre giorni da quando è scoppiata la “bomba”. Il salvifico imbambolamento in cui ero scivolata ha lasciato il posto a un profondo senso di angoscia e mi chiedo: cosa farò adesso? Come cambierà la mia vita? Tutte quelle che credevo fossero certezze incrollabili all’improvviso si dissolvono lasciando spazio al vuoto, quello che dovrò riempire con molta tenacia, coraggio e forza.
Non pensavo che avrei mai dovuto dirla riferendomi a me stessa “Ho il cancro”. Me lo ripeto mentalmente, è ancora troppo presto perché i miei pensieri escano dalla mente e diventino suoni, parole, pronti ad affrontare il mondo. E’ strano, ma la prima cosa che penso è come dovrò comportarmi con gli altri. Lo trovate sensato? Ho appena avuto una diagnosi del genere, dovrei pensare a come curarmi, a cosa fare, e invece mi preoccupo degli “altri”. Questa parola indistinta mi ha sempre dato angoscia. Mi piacciono le cose chiare, definite. Mi piace guardare in faccia le persone, chiamarle per nome, e l’idea di questi “altri” mi offusca la mente.
Sono davanti a un bivio: indurre al pietismo, o ignorare la cosa come se non esistesse. Scarto a prescindere la prima ipotesi. Non voglio facce mezze affrante, imbarazzate, confuse. Magari selezionerò le persone a cui dirlo, sceglierò con cura le parole per non spaventare, rattristare, imbarazzare. E mentre faccio ipotesi, maneggio e rimaneggio i miei pensieri, mi accorgo che da me sono passata agli “altri”. Tutto sommato questo migrazione è benefica: mi sta aiutando a prendere le distanze da me stessa e a guardarmi con gli occhi della gente.


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