Chiunque nella vita sia stato colpito da eventi spiacevoli e inattesi si sarà chiesto “perché proprio a me?”, con piccole variazioni nella formulazione, come anteporre Dio al quesito e trovare un interlocutore con cui dialogare. La domanda di fondo resta però immutata. È qualcosa che ci logora la mente, un tarlo che comincia a rodere, un essere che ha una vita propria e cammina a braccetto con la malattia.
Siamo umani, con tutti i vizi e le virtù che la cosa comporta, e siamo spesso tentati di credere che ci siano persone “fortunate” e persone “sfortunate”, verso le quali la sorte ha deciso di andarci con la mano pesante.
Nel tempo però ho avuto modo di vedere che questa suddivisione è illusoria e consolatoria al tempo stesso: ognuno ha il suo carico di dolore da portare e sopportare.
E allora vi propongo di cambiare la domanda, se proprio vogliamo a tutti i costi porcene una, che è questa, rivolta alla malattia, “Cosa vuoi insegnarmi tu, adesso, che ancora non so?”.
Di qualunque natura essa sia, viene a bussarci per dirci qualcosa. Non pensate che dovremmo ascoltarla?